Se il “secondo cervello” funziona male

I messaggi sul body positive hanno messo in evidenza la grazia di ogni corpo e come spesso i canoni di bellezza imposta da riviste e influencer possano portare, soprattutto nelle più giovani, a comportamenti alimentari errati e stili dietetici carenti e poco salutari. E se la scienza rivaluta anche la salute delle persone in lieve sovrappeso, continua ad essere concorde sui danni causati invece dall’obesità.

Quando si parla di obesità?

Per definire se un individuo è obeso è necessario calcolare il suo indice di massa corporea (BMI). Quando il BMI è superiore a 30 kg/m 2 si è oltre il sovrappeso, in una condizione che influisce sulla salute del cuore e che può portare a sviluppare malattie croniche come il diabete di tipo 2.

L’obesità nasce da uno squilibrio tra le calorie assunte con la dieta e quelle consumate con il metabolismo basale e l’attività fisica. Quando si assumono più calorie di quelle necessarie s’innescano i processi di deposito dei grassi, ma quando questi diventano eccessivi si incorre nei rischi per la salute. Particolarmente allarmante è il grasso viscerale che si distribuisce intorno agli organi dell’addome e del torace.

Tuttavia, può accadere che anche seguendo delle diete ipocaloriche, le persone obese fatichino ad abbassare il loro peso corporeo e questo ha portato i ricercatori a pensare che l’obesità e il microbiota intestinale possano essere fra loro connesse.

Microbioma e obesità. Quando per dimagrire non basta la forza di volontà

Sicuramente avrai sentito parlare dell’intestino come “secondo cervello” e questo perché l’apparato gastro intestinale è influenzato da molecole prodotte dal cervello ma a sua volta produce trasmettitori che influenzano le funzioni cerebrali. Ad esempio, dall’apparato gastrointestinale partono i segnali che condizionano il senso di sazietà, la fame, l’uso o lo stoccaggio dei grassi.

Da queste osservazioni è nata l’idea che il microbiota intestinale può influenzare queste trasmissioni, favorendo l’insorgere e il perdurare dello stato di obesità.

La flora intestinale propria di ogni persona si forma già alla nascita e le specie che colonizzano l’intestino nei primi due anni di vita sembrano essere fondamentali per sviluppare l’obesità.

Gli esperimenti sugli animali suggeriscono infatti che se già dall’infanzia si sviluppa un microbioma equilibrato e salutare, i rischi di sviluppare obesità sono diminuiti. Al contrario, un’alimentazione che porta allo sviluppo di batteri che favoriscono l’infiammazione può causare e predisporre per tutta la vita a una mancanza di controlllo del peso adeguata.

La chiave di tutto sembra ormai chiaro essere la dieta cosiddetta “occidentale”.

Gli zuccheri alimentano le specie batteriche negative

In paesi dove è alto il consumo di cibi processati, con alto contenuto di grassi e di zucchero è in atto una vera e propria epidemia di obesità.

In Italia e nei Paesi che si affacciano sul mediterraneo per lungo tempo siamo stati difesi dalla nostra dieta fatta soprattutto di frutta, verdura e legumi: tutti alimenti prebiotici, che cioè favoriscono la crescita di una flora batterica sana e un microbioma vario. Negli ultimi anni però cresce anche da noi il numero di persone che non riesce a controllare adeguatamente il peso, soprattutto fra i bambini.

Molto del problema è legato all’eccesso di zucchero. La ricerca ha dimostrato che fra una dieta ricca di grassi e una ricca di zuccheri, entrambe deleterie, quella con più zuccheri causa maggiori conseguenze sul microbioma intestinale. Infatti, provoca la crescita di specie associate con l’obesità, riduce le specie benefiche, diminuisce la loro varietà.

Un microbioma ricco di specie e vario è proprio di un organismo sano

L’influenza che il microbiota ha sull’insorgenza dell’obesità è stata resa evidente in esperimenti sui topi in cui, nonostante una bassa assunzione di cibo, il trapianto di microbiota da un topo obeso portava ad aumentare il grasso corporeo fino al 60%, il livello dei trigliceridi e l’insulino-resistenza.

Poiché i prebiotici sono ingredienti non digeribili, ma fermentabili che favoriscono la crescita di batteri benefici la variazione delle abitudini alimentari e l’incremento nell’uso di prebiotici sono fattori che influiscono prima di tutto sulla composizione del microbioma e, di conseguenza, aiutano a combattere l’obesità.

Fra i composti fenolici di cui sono ricchi frutta e verdura, il resveratrolo e il suo glucoside polidatina, presenti nell’uva rossa, nelle arachidi e nei frutti di bosco, ha aumentato la produzione di incretine, ormoni prodotti dall’intestino per controllare la glicemia e con effetto antidiabetico. Anche i polifenoli da tè verde possono aumentare la ricchezza batterica intestinale, oltre ad avere un effetto positivo nell’utilizzo dei grassi per la produzione di energia. La dieta arriva a svolgere un ruolo fondamentale nel rimodellamento del microbioma in sole 24 ore.

Sorprendentemente, anche l’esercizio fisico ha un effetto benefico sul microbiota intestinale, modulandone la composizione e promuovendo la salute.

Vista l’importanza che ha per la nostra salute, aiutiamo il microbiota a favorire il nostro benessere riducendo grassi e zuccheri, aumentando l’attività sportiva, scegliendo una dieta ricca di fibre e di polifenoli.

 Fonte:

Aoun A, Darwish F, Hamod N. The Influence of the Gut Microbiome on Obesity in Adults and the Role of Probiotics, Prebiotics, and Synbiotics for Weight Loss. Prev Nutr Food Sci. 2020 Jun 30;25(2):113-123.

Attenzione all’infiammazione di basso grado

Obesità, diabete, ipertensione e problemi vascolari sono solo alcune delle malattie legate all’infiammazione di basso grado.

L’infiammazione di basso grado è una risposta cronica da parte del sistema immunitario a situazioni che ne provocano l’attivazione. Il sistema immunitario è infatti fondamentale per la difesa dell’organismo ma una sua attivazione continua può invece portare a danni e malattia.

Il problema dei cibi ultraprocessati

Sappiamo che l’infiammazione di basso grado è strettamente connessa con la modernità: aumento del consumo di cibi industriali (cibi processati e ultraprocessati), la sedentarietà, il fumo e il consumo di alcool sono tutti fattori che fanno scattare la risposta dell’organismo. Continuare con abitudini sbagliate rende la risposta cronica e rende lo stato infiammatorio non acuto continuo. Poiché l’infiammazione cronica è diffusa in tutto l’organismo e causa stress ossidativo, influisce su molte condizioni causando anche problemi cutanei, asma, degenerazione del fegato e invecchiamento precoce, anche dei neuroni.

Il tessuto adiposo è uno dei maggiori responsabili di questa condizione cronica, infatti, è capace di dare origine a fattori infiammatori e proteine che regolano la risposta al cibo, anche a livello del cervello, e influenzano i livelli di grassi e zuccheri nel sangue. È per questo che nelle persone in sovrappeso e obese aumenta il rischio di sindrome dismetabolica che è essa stessa strettamente legata all’infiammazione di basso grado.

L’importanza di una dieta sana

La dieta è poi cruciale nello sviluppo dell’infiammazione. Le ricerche dimostrano che i fattori dell’infiammazione aumentano con l’assunzione dei grassi saturi, i quali poi influiscono anche sulla quantità di tessuto adiposo corporeo sostenendo l’infiammazione. Anche un eccessivo apporto di zuccheri il consumo di cibi che causano picchi glicemici influisco. È ormai evidente, infatti, che anche se non si soffre di diabete, i picchi di zuccheri nel sangue causano danni ai piccoli e grandi vasi. L’infiammazione cronica sostiene poi la resistenza all’insulina e quindi porta a sviluppare diabete di tipo 2.

Al contrario, una dieta ricca di fibre, vegetali è frutta riduce l’infiammazione e agisce anche sul microbioma intestinale che è alterato dall’infiammazione cronica di basso grado. Poiché un microbiota sano e ricco di specie batteriche è strettamente legato al benessere dell’organismo, alla risposta immunitaria bilanciata, alla produzione di acidi grassi a catena corta che influiscono positivamente sul sistema nervoso è evidente la sua importanza.

Le diete a basso carico glicemico e ad alto contenuto di cereali integrali possono avere un effetto protettivo contro l’infiammazione cronica. Assumere 30 grammi al giorno di fibre riduce significativamente i fattori dell’infiammazione.

Aggiungi i polifenoli alla tua dieta

Un ruolo importante è poi svolto dai cibi ricchi di polifenoli come i frutti, ma anche dall’integrazione con nutraceutici che li contengono. Perciò, alimenti funzionali e nutraceutici possono essere usati per prevenire o attenuare le risposte antinfiammatorie.

Sin dalla scoperta del “paradosso francese” – l’inaspettata bassa incidenza di obesità e malattie cardiache in una popolazione la cui dieta era ricca di grassi animali derivati da latte e formaggi – è stata posta attenzione ai polifenoli. Nel caso infatti del paradosso francese, il resveratrolo e la polidatina contenuti nel vino rosso consumato abitualmente in Francia sono stati indicati come i polifenoli protettivi. Oggi sappiamo che i polifenoli agiscono attraverso diverse vie: influenzano la composizione del microbioma intestinale, stimolano la produzione di molecole antinfiammatorie, agiscono contro i radicali liberi, aiutano la perdita di peso.

Poiché possono raggiungere il cervello, agiscono sia contro la neuroinfiammazione – che è causa delle malattie neurodegenerative legate all’invecchiamento – sia sul rilascio di insulina e di risposta allo stimolo della fame.

Una fonte del polifenolo polidatina, detto anche resveratrolo glucoside, è Polidase che può essere integrato in una dieta ricca di cereali integrali e con basso apporto di grassi e zuccheri. Polidase contiene infatti polidatina al 98% e si avvale di due brevetti internazionali che riconosco la sua attività antiossidante dei lipidi cellulari e di protezione delle membrane e dei tessuti dai radicali liberi.

FONTE:
Minihane, Anne M., et al. “Low-grade inflammation, diet composition and health: current research evidence and its translation.” British Journal of Nutrition 114.7 (2015): 999-1012.

Magrone, Thea, et al. “Functional foods and nutraceuticals as therapeutic tools for the treatment of diet-related diseases.” Canadian journal of physiology and pharmacology 91.6 (2013): 387-396.

Fai il pieno di nutrienti con i funghi della Medicina Tradizionale Cinese

Con l’inverno alle porte è il momento di integrare la propria alimentazione con nutraceutici e cibi funzionali capaci di dare sostegno al normale funzionamento del sistema immunitario.

Conosciuti e usati nella medicina tradizionale orientale, i funghi della Medicina Tradizionale Cinese attirano sempre più attenzione per la loro ricchezza di costituenti, per l’alto valore nutrizionale e per le proprietà curative.

Dalle ricerche, infatti, è sempre più evidente la capacità degli estratti fungini nel migliorare le difese immunitarie, prevenire e ridurre il danno causato dai radicali liberi, proteggere i tessuti contro l’invecchiamento.

Reishi, Maitake, Shiitake e Agaricus per migliorae lo state di benessere

Nei funghi della tradizione cinese, fra cui Reishi, Maitake, Shiitake e Agaricus, diversi ricercatori hanno isolato composti biologicamente attivi con proprietà anticancro, antiossidanti, antidiabetiche, antinfiammatorie. I funghi, infatti, sono ricchissimi di fitochimici ma la loro azione salutare è legata anche alla composizione in carboidrati, proteine e alla concentrazione di elementi essenziali.

In particolare, i funghi sono fonte di tutti e nove gli aminoacidi essenziali (fenilalanina, lisina, isoleucina, leucina, valina, istidina, treonina e metionina) ma anche di acido γ-aminobutirrico (GABA) e ornitina con proprietà disintossicanti per il fegato. Sono ricchi di minerali: potassio, fosforo, magnesio e calcio indispensabile per il metabolismo osseo. Inoltre, gli studi dimostrano che alcune varietà di funghi hanno un effetto stimolante sulla salute delle ossa aumentando la mineralizzazione e la rigenerazione dei tessuti. Ricchi di selenio, cofattore per gli enzimi antiossidanti fisiologici, sono invece molto poveri di sodio e questo li rende particolarmente preziosi in caso di ipertensione.

Anche il contenuto vitaminico è prezioso, soprattutto per chi segue una dieta vegana. I funghi della tradizione cinese contengono quantità di vitamina B12  – le cui fonti sono scarse nei cibi vegani – paragonabile a quella della carne e ad elevata biodisponibilità. Sono anche fonte di vitamina B 5 essenziale per il sistema nervoso.

I β – glucani, naturali stimolanti del sistema immunitario

Particolare attenzione hanno destato i β – glucani presenti negli estratti fungini. Questi polisaccaridi sono infatti capaci di stimolare le difese immunitarie innate e adattative contro le infezioni stagionali e delle vie respiratorie, e possono essere utilizzati dai pazienti oncologici per ridurre gli effetti collaterali delle terapie. Questo fa dei funghi della Medicina Tradizionale Cinese degli immunomodulatori che stimolano il meccanismo di difesa dell’ospite.

Gli estratti dai funghi riducono anche significativamente i mediatori dell’infiammazione, esercitano effetti epatoprotettivi, riducono lo stress ossidativo e l’accumulo di radicali liberi svolgendo così un effetto antietà. I principi antiossidanti in essi contenuti possono essere utili anche contro la neuro degenerazione legata alla senescenza, esercitando un effetto neuro protettivo.

La funzione prebiotica dei funghi della tradizione orientale

Non meno importante è la funzione che le proteine e i polisaccaridi fungini hanno come prebiotici: permettono di migliorare la salute della flora intestinale e, in questo modo, intervengono sui fenomeni infiammatori e riducono i rischi delle affezioni a carattere cronico. Il benessere del microbiota è infatti legato alla riduzione del richio di infiammazione intestinale, obesità e diabete di tipo 2.

La degradazione delle proteine del fungo da parte dei batteri intestinali libera aminoacidi utilizzati dalla flora intestinale per il suo metabolismo; la fermentazione delle fibre alimentari e la decomposizione dei polisaccaridi produce invece acidi grassi a catena corta (SCFA), che sono composti nutritivi essenziali per mantenere l’omeostasi intestinale. 

Fra i composti caratterizzanti dei funghi ci sono però anche i terpeni, con attività antiossidanti, antitumorali, antinfiammatorie, antimicrobiche e i composti fenolici che agiscono come inibitori dei radicali liberi e scavenger delle specie reattive dell’ossigeno (ROS).

Poiché i funghi assorbono dal terreno in cui sono coltivati i metalli presenti, è bene fare attenzione all’origine degli estratti fungini per evitare i tossici metalli pesanti. È per questo motivo che gli estratti di funghi della Tradizione Medicinale Cinese che si ritrovano in MicoDefense Immunity Plus derivano da funghi coltivati su substrati naturali e nelle condizioni ideali per replicare la crescita allo stato selvatico.

MicoDefense Immunity Plus si avvale poi dell’azione antiossidante della polidatina e del resveratrolo e dell’azione sinergica della vitamina C da fonte naturale – acerola – per sostenere le naturali difese dell’organismo e aiutare un rapido recupero dopo periodi di stress psico-fisico e in convalescenza.

FONTE:

Yadav, Divya, and Pradeep Singh Negi. “Bioactive components of mushrooms: Processing effects and health benefits.” Food Research International 148 (2021): 110599.

L’astragalo: una radice dalla lunga storia per combattere i segni dell’invecchiamento

Uno stile di vita sano con un’alimentazione equilibrata e una moderata attività fisica sono riconosciuti e indicati dall’Organizzazione Mondiale della Salute come i mezzi per migliorare la propria condizione di benessere e mantenerla a lungo.

Se resta ancora un sogno poter bloccare gli effetti del tempo sull’organismo, le nostre conoscenze ci mettono a disposizione gli strumenti per accompagnare il naturale processo di invecchiamento senza pregiudicare lo stato di salute, l’energia e l’attività.

Un importante aiuto può venire quindi anche dall’integrazione alimentare, in particolar modo quando si avvale di principi antiossidanti e attivi contro i radicali liberi. I radicali liberi sono infatti responsabili dei danni cellulari e al DNA che causano lesioni delle cellule e invecchiamento fisiologico, mentre mantenere i processi antiossidanti dell’organismo ne favorisce lo stato di salute.

Fra i rimedi utilizzati tradizionalmente nella Medicina Tradizionale Cinese si ritrova la radice di astragalo che, grazie alla sua ricchezza in principi di origine vegetale e alla sua azione immunostimolante, mostra una potente attività anti-età.

Dalla Medicina Tradizionale Cinese il supporto per il sistema immunitario

L’astragalo, conosciuto come Huangqi, è una pianta erbacea appartenente alle leguminose diffusa in Asia e coltivata nel nord della Cina, Mongolia e Tibet dove cresce nei boschi e sui pendii. La parte maggiormente usata della pianta è la sua radice dal colore giallo biancastro. Le prime testimonianze del suo uso medicinale risalgono a più di 2000 anni fa e le sono attribuite proprietà di tonico e adattogeno. Se ne ritrova la descrizione in “Materia Medica di Shen Nong”, la prima farmacopea cinese risalente alla dinastia Han.

L’uso dell’estratto garantisce la sinergia dei fitochimici prodotti dalla pianta che è ricca anche di oligoelementi fra i quali in particolare ferro, manganese, zinco e rubidio, considerati minerali essenziali. Le sue componenti principali sono i flavonoidi, le saponine e, in particolare, i polisaccaridi che sono stati riconosciuti come attivi nello stimolare la risposta del sistema immunitario.

L’astragalo un’integratore anti-aging

L’importanza di un sistema immunitario efficiente è infatti la chiave contro l’invecchiamento. Con l’avanzare dell’età, il sistema immunitario perde infatti la capacità di rispondere agli attacchi esterni dell’organismo. Diventa quindi meno attivo contro i radicali liberi, non riconosce ed elimina prontamente le cellule danneggiate, non contrasta in modo rapido i fenomeni infiammatori.

Gli studi sull’astragalo mostrano la sua azione in modelli di malattie da stress ossidativo che interessano vari organi come cuore e cervello. Questo avviene grazie alla capacità dell’astragalo di sovraregolare gli enzimi antiossidanti e ridurre le specie reattive dell’ossigeno (ROS) e quindi i loro danni. Testato in laboratorio sui topi, l’estratto di astragalo è stato associato a un significativo effetto di inversione dell’età nel sistema immunitario.

Astraglus membranaceus riduce anche l’invecchiamento del cervello, con effetti positivi sull’efficienza della memoria e sulle capacità cognitive e sembra avere un effetto protettivo per i neuroni e per l’integrità delle strutture cerebrali.

A livello cutaneo, protegge i fibroblasti dal photoaging causato dai raggi ultravioletti, mantenendo quindi la loro produzione di collagene fondamentale per il tono e l’elasticità della pelle. L’uso dell’astragalo è quindi anche utile per rimarginare velocemente le ferite. Matenere l’integrità dei fibroblasti è però anche d’aiuto per il benessere delle ossa a tutte le età.

Non meno importante è la scoperta che l’estratto d’astragalo ha proprietà anti-aging specifica grazie alla regolazione della lunghezza dei telomeri.

Le telomerasi: i protettori del DNA che difendono le cellule

I telomeri sono porzioni di DNA che si trovano nella parte terminale dei cromosomi e che sono responsabili dell’integrità del materiale genetico. È degli ultimi anni la scoperta che l’accorciamento dei telomeri è associato con l’invecchiamento delle cellule e con la loro morte. Per mantenere una lunghezza adeguata dei telomeri intervengono degli enzimi, chiamati telomerasi, che sono capaci allungare i telomeri e far guadagnare alle cellule fino a 10 anni di giovinezza.

L’astragalo può esercitare i suoi effetti anti-età regolando l’attività della telomerasi che, una volata attivate, mantengono la lunghezza dei telomeri rallentando la senescenza.

Accanto a queste azioni specifiche, l’integrazione con astragalo è però risultata utile anche contro l’eccesso di lipidi nel sangue, riducendo colesterolo totale e trigliceridi e per questo utile contro l’invecchiamento di vasi, cuore e fegato.

Se quindi ancora non abbiamo trovato l’elisir di lunga vita, è certo che iniziare a prendersi cura precocemente della propria salute, anche attraverso l’integrazione con i nutraceutici, è un aiuto per affrontare l’avanzare dell’età.

Nutraceutici come Astragal Beta, titolato in polisaccaridi e con l’apporto dei beta glucani prodotti dal lievito, sono d’aiuto non solo nel momento del bisogno, come ad esempio durante la convalescenza o per affrontare le malattie stagionali, ma anche, grazie alla loro sicurezza, come forma di prevenzione a lungo termine.

FONTI:

Liu, Ping, Haiping Zhao, and Yumin Luo. “Anti-aging implications of Astragalus membranaceus (Huangqi): a well-known Chinese tonic.” Aging and disease 8.6 (2017): 868.

Fu, Juan, et al. “Review of the botanical characteristics, phytochemistry, and pharmacology of Astragalus membranaceus (Huangqi).” Phytotherapy Research 28.9 (2014): 1275-1283.

Zheng, Yijun, et al. “A review of the pharmacological action of Astragalus polysaccharide.” Frontiers in Pharmacology 11 (2020): 349.

Il sulforafano normalizza l’intestino colpito da colite ulcerosa

Nel trattamento delle malattie del tratto gastrointestinale, il sulforafano, molecola attiva che si forma in abbondanza in germogli e semi di broccolo, è stata già individuata come utile.

Agisce infatti anche nel ridurre le ulcere gastriche e la sua azione di promozione dei fattori detossificanti e antiossidanti, nonché la capacità di ridurre le risposte infiammatorie, lo rendono utile su un organo complesso come l’intestino.

La colite ulcerosa

La colite ulcerosa è una patologia infiammatoria che può mostrarsi con sintomi fastidiosi e discontinui ma che può anche diventare debilitante. L’origine della malattia non è ben chiara, sembrano essere coinvolte risposte allo stress, disbiosi intestinale, risposte immunitarie a virus e batteri. La malattia si presenta sovente nei fumatori e può essere associata a regimi alimentari non salutari.

Altrettanto difficile è identificare una cura efficace poiché la malattia può avere episodi acuti seguiti da periodi di remissione e, in alcuni casi, regredire da sola alla scomparsa dello stimolo che l’ha provocata. Poiché però le malattie infiammatorie sono associate allo sviluppo di cancro, nel trattamento della colite ulcerosa si cerca soprattutto di prevenire la risposta proinfiammatoria.

Proprio la presenza della componente infiammatoria che causa irritazione degli strati superficiali dell’intestino ha indotto i ricercatori a valutare l’efficacia del sulforafano contro la patologia.

Lo studio

È stato quindi allestito uno studio sperimentale sui topi in cui è stata causata infiammazione intestinale simile alla colite ulcerosa per rilevare poi se il trattamento per due settimane con il sulforafano potesse avere un effetto benefico.

Gli animali sono quindi stati divisi in tre gruppi: un gruppo di controllo, un gruppo in cui è stato indotta la colite ulcerosa con acido acetico, e un gruppo in cui è stata indotta la colite ulcerosa e successivamente trattato con sulforafano.

Nei tessuti danneggiati si verifica uno squilibrio tra le specie reattive dell’ossigeno (ROS) e le capacità antiossidanti delle cellule. Lo squilibrio è mantenuto dal richiamo di fattori del sistema immunitario che nella lora azione generano radicali e alimentare lo stress ossidativo. L’analisi dei tessuti prelevati dagli animali ha permesso di verificare la capacità del sulforafano di ridurre l’infiammazione e di comprendere il meccanismo della sua azione.

Ad un primo prelievo, infatti, i tessuti degli animali trattati apparivano decisamente alterati. Si evidenziavano emorragie, produzione di grandi quantità di muco, modifiche dei villi e fibrosi dei tessuti.

Oltre alle alterazioni maggiori visibili, i ricercatori hanno anche rilevato una minore capacità antiossidante dei tessuti, la presenza di infiltrati infiammatori, la maggiore formazione di specie ossidanti come l’ossido d’azoto, la diminuzione dell’espressione dell’enzima glutatione perossidasi. In particolare, l’ossido d’azoto è sovraespresso nell’infiammazione del colon e può causare danni al DNA e impedirne i processi di riparazione

Il sulforafano normalizza i tessuti intestinali danneggiati

La somministrazione di sulforafano ha invece ridotto le lesioni delle cellule ed è intervenuta soprattutto sulla fibrosi che è diminuita. Il sulforafano ha anche invertito i risultati riguardanti le specie ossidanti e la glutatione perossidasi.

L’azione svolta dal sulforafano per ripristinare l’integrità della mucosa del colon è sia diretta, grazie all’azione antinfiammatoria e immunomodulante, che indiretta attraverso il trofismo della flora batterica intestinale che partecipa nel combattere i processi infiammatori.

I risultati, quindi, dimostrano che il sulforafano ha il potenziale per protegge dall’infiammazione del colon e può ridurre le alterazioni causate dalla colite ulcerosa. Esso inoltre può intervenire anche nel diminuire l’espressione di fattori oncogenici e favorisce la biogenesi mitocondriale, processo che aumenta il numero e le dimensioni dei mitocondri.

Anche se il sulforafano si può trovare nei vegetali della famiglia dei cavoli, in realtà la quota che si può ottenere dall’ingestione degli ortaggi è modesta. Perché si formi il sulforafano, infatti, è necessario che interagiscano due molecole presenti nei vegetali: glucorafanina e mirosinasi. La mirosinasi però è degradata e resa inattiva dalla cottura delle verdure. L’integrazione con prodotti capaci di fornire dose adeguate di sulforafano può quindi essere presa in considerazione per mantenere lo stato di salute del tratto intestinale e del suo microbiota.

Fonte

Alattar, Reem Alshaman & Mohammed M. H. Al-Gayyar (2022) Therapeutic effects of sulforaphane in ulcerative colitis: effect on antioxidant activity, mitochondrial biogenesis and DNA polymerization, Redox Report, 27:1, 128-138

I nutraceutici non sono tutti uguali

La possibilità di intervenire sullo stato di benessere e di salute dell’organismo ricorrendo alle molecole di origine vegetale con gli integratori ha spinto molte aziende sul mercato e ha ampliato l’offerta.

Cercando quindi fra i rimedi fitoterapici più comuni, il consumatore si trova a dover scegliere fra prodotti che sembrano tutti simili tra loro, non considerando la diversa biodisponibilità dei fitochimici.

La biodisponibilità è infatti quel parametro che indica quanto prodotto, rispetto a quello assunto, è effettivamente assorbito e veicolato negli organi e nei tessuti.

Un problema, infatti, delle molecole vegetali è che mostrano attività ed efficacia in molti studi sulle cellule e tessuti, che poi non sono replicate con la stessa forza in vivo. Ciò è legato alle caratteristiche di solubilità e assorbimento dei principi attivi di origine vegetale.

Le molecole vegetali: il problema della biodisponibilità

Le molecole, che vengono somministrate principalmente per via orale come compresse, capsule, granuli o composizioni liquide dalla diversa densità, per poter agire nell’organismo devono avere delle caratteristiche chimiche e fisiche ben specifiche. Devono infatti essere idrosolubili, perché le nostre cellule sono a contatto con soluzioni acquose, ma devono anche avere un certo grado di lipofilia – affinità cioè per le molecole oleose – per poter attraversare le membrane cellulari che sono infatti costituite da lipidi e proteine.

Le molecole poi non devono essere troppo grandi, proprio per riuscire ad attraversare meglio gli strati cellulari ed essere assorbite.

Una volta assorbite, le molecole potrebbero andare incontro a processi metabolici molto rapidi, soprattutto da parte del fegato, che ne riducono l’attività e la capacità di funzionare. Perciò i fitochimici, prima di essere inattivati e eliminati, dovrebbero avere una buona distribuzione nei distretti corporei.

Molte molecole di origine vegetale non hanno queste caratteristiche ideali. Ad esempio, alcuni polifenoli sono molto solubili ma hanno molecole troppo grandi e attraversano difficilmente le membrane, altri invece sono troppo lipofile, è difficile portarle in soluzione e perciò farle arrivare in quantità adeguate a contatto con le cellule intestinali.

Per ovviare a molti di questi problemi, i produttori di materie prime vegetali non si limitano più solamente a preparare in modo più idoneo gli estratti dalle piante, ma hanno studiato, progettato e reso disponibili delle formulazioni dalle caratteristiche innovative che possono superare i problemi di diluizione e biodisponibilità.

La microincapsulazione

Possiamo quindi oggi trovare nutraceutici contenenti liposomi, micelle, nanoemulsioni, nanoparticelle: estratti naturali microincapsulati con caratteristiche che li rendono i più idonei come ingredienti degli integratori.

In sostanza, l’estratto viene racchiuso all’interno di vescicole e strutture ottenute con sostanze naturali come gelatina, gomma arabica, gomma xantan, lecitine di soia, polisaccaridi vegetali che per le loro caratteristiche permettono di ottenere microemulsioni, soluzioni e dispersioni adatte per l’assunzione del nutraceutico. In alcuni casi, l’ideazione di questi prodotti permette anche di avere nutraceutici dall’odore e dal sapore migliore perché queste strutture mascherano aromi troppo forti tipici di alcuni estratti, ad esempio quello di curcuma.

Proprio per l’estratto di curcuma, che contiene un’alta percentuale di curcumina, si studiano i sistemi poù adatti per replicare in vivo i risultati ottenuti in vitro. La curcumina è infatti un antiossidante, antimicrobico e anticancerogeno con azione sia riparativa che preventiva ma ha una bassa biodisponibilità che è stata migliorata formulandola in nanoparticelle, liposomi e micelle. Queste forme dalle piccole dimensioni permettono anche di veicolare il fitochimico fino a tessuti poco accessibili, come il cervello: la curcumina in nanoparticelle si è mostrata infatti più efficace contro il glioblastoma di quella non incapsulata .

Poiché l’incapsulamento utilizza materiali riconosciuti come sicuri, anche i prodotti finali sono ritenuti sicuri e dimostrano di non aver effetti negativi sulle cellule.

Le forme microincapsulate hanno anche il vantaggio di poter rilasciare il loro contenuto in modo controllato alla velocità e al dosaggio ottimale per svolgere le loro azioni sull’organismo. In alcuni casi, l’assorbimento può avvenire insieme agli altri grassi della dieta e questo evita il metabolismo di primo passaggio da parte del fegato e permette di distribuire le molecole in tutto l’organismo prima che siano modificate per essere eliminate.

Quando quindi si deve scegliere un integratore alimentare è bene fare attenzione e prediligere i prodotti che hanno investito in nuove tecnologie e che utilizzano materie prime appositamente formulate per migliorare la biodisponibilità delle molecole naturali. Questi nutraceutici, grazie proprio alla biodisponibilità maggiore dei loro costituenti, hanno il vantaggio di impiegare quantità di estratto più idonee all’effetto voluto, senza sprechi, e con una maggiore specificità per il distretto organico dove agiscono.

FONTE:

Manocha, Sakshi, et al. “Nanotechnology: An approach to overcome bioavailability challenges of nutraceuticals.” Journal of Drug Delivery Science and Technology (2022): 103418.

Una dieta integrata con sulforafano in gravidanza può influire sul microbiota del nascituro

Sappiamo già come la dieta equilibrata possa influire positivamente sullo sviluppo del feto e come l’apporto di nutrienti attraverso l’allattamento sia indispensabile per la salute del neonato. Meno chiaro è come la dieta materna e l’allattamento possano influenzare anche il microbiota del nascituro.

Alla nascita il neonato forma il suo microbiota grazie al contato con le mucose e gli epiteli materni e le primissime fasi della vita condizionano la colonizzazione del suo corpo da parte dei batteri, lo sviluppo successivo di colonie e il benessere dell’individuo.

L’asse cervello-intestino per il bessere dell’individuo

Nell’ultimo decennio, infatti, gli studi su come il microbiota influisce sulla salute si sono fatte sempre più consistenti. S’è iniziato a parlare di asse cervello-intestino anche per cercare di capire come alcuni disturbi neurologici possano essere correlati all’alterazione della flora batterica intestinale e il ruolo che i processi infiammatori dell’intestino possono ricoprire in patologie come la depressione, la schizofrenia e le manifestazioni legate allo spettro autistico.

Anche il sulforafano e la sua azione antinfiammatoria sembrano essere però strettamente legate al trattamento delle stesse manifestazioni.

L’azione del sulforafano

Il sulforafano è una molecola che si forma dal suo precursore glucorafanina, di cui sono ricchi i germogli di broccolo, per via enzimatica (ad opera della mirosinasi) o grazie alla flora intestinale. L’interesse crescente per il sulforafano è dovuto alle sue proprietà antinfiammatorie e depurative; la molecola ha mostrato di poter essere usata nella terapia integrata del cancro e sempre più evidenze legano la sua assunzione con il miglioramento di alcuni dei disturbi dello spettro autistico.

Uno studio condotto dalla Chiba University Center giapponese e dal Southwest Medical University di Sichuan (Cina) ha messo in relazione la dieta arricchita con glucorafanina, precursore del sulforafano, durante la gravidanza e la varietà del microbioma intestinale della prole.

Lo studio

La sperimentazione è avvenuta su topi gravidi e la ricaduta della dieta arricchita con sulforafano è stata studiata sia nella prole giovane sia in quella diventata ormai adulta.

In primo luogo, il confronto con il controllo che non assumeva sulforafano ha confermato come l’integrazione in gravidanza sia ben tollerata e non tossica. I topi di entrambi i gruppi hanno mantenuto un peso corporeo nella media così come non ci sono state conseguenze statisticamente rilevanti sulla prole.

Rispetto invece alla composizione della flora batterica intestinale, i topi alimentati con sulforafano hanno mostrato una varietà di popolazioni batteriche superiore rispetto ai controlli, con predominanza di specie che non sono state associate allo sviluppo di infiammazione.

Quanto alla prole, la composizione del microbiota intestinale era altrettanto ricca per i topi nati da consumatrici di sulforafano rispetto al controllo. Se si può immaginare che ci sia una certa influenza dovuta all’allattamento, meno chiaro è come l’alimentazione della madre possa influenzare il microbiota della prole. Gli scienziati autori dello studio ipotizzano che sia la capacità del sulforafano di regolare la risposta infiammatoria e le citochine proinfiammatorie prodotte a modulare positivamente la risposta nel nascituro.

Gli effetti a lungo termine

Lo studio ha anche esaminato come il microbiota nelle prime fasi di vita sia mantenuto anche nell’età adulta. Anche in questo caso è stato possibile rilevare la differenza rispetto al controllo poiché nei topi la cui flora intestinale era stata condizionata dal sulforafano, in età adulta si mantiene una maggiore variabilità nella composizione del microbiota e si ha una maggiore resistenza all’infiammazione. Quest’ultima è stata verificata somministrando lipopolisaccaride ai topi e vedendo quale era la risposta. I topi il cui microbiota era stato influenzato dal sulforafano hanno risposto meglio e hanno prodotto meno citochine proinfiammatorie.

Dallo studio si evince che l’alimentazione materna arricchita con sulforafano può produrre effetti benefici di lunga durata attraverso la modulazione persistente del microbiota intestinale e agire da protezione contro l’insorgenza di alcuni disturbi grazie all’azione neuroprotettiva.

Dato il ruolo della dieta materna sullo sviluppo della prole, non è da escludere che l’assunzione dietetica di glucorafanina durante la gravidanza e l’allattamento possa contribuire alla resilienza nella prole attraverso la modulazione del microbiota intestinale agendo proprio sull’asse cervello-intestino-microbiota e sul sistema di segnalazione bidirezionale multiorgano tra il cervello e il tratto gastrointestinale che svolge un ruolo cruciale nel mantenimento della salute.

La radice di Astragalo e la Medicina Tradizionale Cinese come aiuto nella prevenzione dell’ictus ischemico

Fra le patologie più diffuse con elevato indice di mortalità e perdita di qualità di vita ci sono le malattie cardiache e quelle che ne sono diretta conseguenza come l‘ictus ischemico. Con una popolazione che tende sempre più ad invecchiare e degli stili di vita – alimentazione e mancanza di attività fisica – che predispongono all’accumulo di colesterolo nelle grandi arterie è fondamentale studiare i processi che portano agli eventi fatali o altamente debilitanti, per intervenire con la prevenzione e per ridurre anche le conseguenze.

L’ischemia cerebrale causata dall’ictus è un evento che può portare con sé conseguenze nefaste e che incidono sulla qualità di vita del paziente, dei familiari e sulla spesa pubblica sanitaria.

Sappiamo che più dell’80% delle ischemie sono dovute alla rottura di una placca in un vaso con formazione di trombi che occludono la circolazione dei vasi cerebrali causando la sofferenza del tessuto irrorato da quei vasi.  

In molti casi, la ripresa di un normale flusso può portare ad un ulteriore danno causato dai fenomeni ossidativi che possono instaurarsi. Si parla allora di danno da ischemia/riperfusione (I/R) che è causato da un complesso insieme di fenomeni come lo stress ossidativo, l’infiammazione, il rilascio di specie che causano neurotossicità.

La possibilità di intervenire sullo stress ossidativo non è solo utile per ridurre il danno da ischemia/riperfusione ma anche per prevenire la formazione delle placche nei vasi.

Nella Medicina Tradizionale Cinese (MTC) alcuni rimendi sono indicati da millenni come capaci di aiutare nelle malattie cardiocircolatorie e di agire anche nello stress ossidativo. Fra questi vi è anche l’Astragalus membranaceus, pianta erbacea conosciuta come “Huangqi”. La testimonianza di un suo uso terapeutico si ritrova nello Shennong Bencao Jing, antico libro cinese risalente al 200 d.C.

L’astragalo si avvale di una composizione costituita da polisaccaridi, flavonoidi, saponine e, in particolare, dall’astragaloside IV che sembra avere un’azione elevata contro i radicali dell’ossigeno. Le specie reattive dell’ossigeno (ROS) si producono naturalmente nei processi energetici dell’organismo. La loro presenza è ben bilanciata dal sistema fisiologico di enzimi che li rimuove o li converte in forme non dannose.

Quando l’equilibrio si perde, sopraggiunge il danno ossidativo a cui l’organismo risponde con l’infiammazione. Lo steso processo si può avere durante l’ictus in cui lo stress ossidativo può causare lesioni ai neuroni e aggravare il danno cerebrale.

L’astragaloside IV aumenta l’attività dei sistemi di rimozione dei radicali liberi e diminuisce la formazione dei ROS. Nello studio su animale, l’astragalo ha quindi mostrato di migliorare il danno cerebrale da I/R e di svolgere un’azione protettiva.

Non solo l’astragalo è stato preso in esame ma anche la radice di angelica cinese, il cartamo, la salvia cinese e il rizoma del Rhizoma Chuanxiong.

Altri fitochimici sono però utili e in studio per prevenire e/o minimizzare i danni da ictus, in particolare i polifenoli il cui consumo alimentare è associato una minore manifestazione di malattie cardiache nella popolazione. Fra i polifenoli, quelli derivati dalla curcuma mostrano anche effetti infiammatori mirati neuroprotettivi.

Gli studi che riportano in ambito clinico la tradizione della MTC sono sempre più frequenti. Dalla Medicina Tradizionale Cinese si può quindi prendere indicazione utile sia per lo sviluppo di farmaci attivi sia anche per studiare come un’alimentazione adeguatamente integrata può prevenire le malattie cardiocircolatorie.

FONTE:
Zhao, Xixi, et al. “Inhibition of Oxidative Stress: An Important Molecular Mechanism of Chinese Herbal Medicine (Astragalus membranaceus, Carthamus tinctorius L., Radix Salvia Miltiorrhizae, etc.) in the Treatment of Ischemic Stroke by Regulating the Antioxidant System.” Oxidative Medicine and Cellular Longevity 2022 (2022).

C’è ancora da scoprire sulle proprietà del Maitake

La Grifola frondosa, comunemente conosciuta come fungo maitake è una delle specie più consumate e apprezzate nella cultura orientale, non solo per le proprietà benefiche che le sono riconosciute ma anche per la consistenza e il sapore del fungo che ne fanno un alimento diffuso.

Maitake è infatti caratterizzato dalla forma a crisantemo, dalla struttura carnosa croccante e tenera, dall’aroma spiccato ed è anche ricco di oligoelementi, vitamine e fibre alimentari.

Ciò che però lo caratterizza nelle sue proprietà salutistiche sono i polisaccaridi che hanno dimostrato di avere azione immunomodulante, antitumorale e antiossidante ma ha anche azione contro l’eccesso di lipidi circolanti ed è utile nell’abbassare la glicemia nel diabete di tipo 2.

Una nuova review pubblicata su Trends in Food Science & Technology ha quindi raccolto tutte le informazioni finora esistenti sull’attività biologica del fungo, per fare da base agli sviluppi di ricerche future.

In primo luogo, è emerso come i diversi meccanismi utilizzati per ottenere gli estratti dal fungo possono influenzare la composizione e l’attività biologica. Appare chiaro infatti che non tutti i polisaccaridi presenti in Grifola frondosa agiscono con lo stesso meccanismo e con la stessa efficacia sui processi biologici.

Attenzione particolare va quindi posta alla qualità dei polisaccaridi che è possibile ottenere perché da questi dipende una maggiore efficacia biologica. Anche la coniugazione dei polisaccaridi e l’arricchimento delle preparazioni con elementi come selenio e ferro possono portate a prodotti più efficaci.

Fra gli intenti dei ricercatori che hanno presentato il lavoro di revisione anche quello di evidenziare le conoscenze attuali sull’azione biologica dei polisaccaridi fungini.

Non si conosce infatti ancora la relazione struttura-attività che possa chiarire come i polisaccaridi agiscano nel nostro organismo. Le prove in vitro e sull’animale hanno però evidenziato come maitake agisce almeno con quattro meccanismi sul tumore: inibisce la proliferazione delle cellule tumorali, causa l’induzione della morte delle cellule mutate, previene la metastasi, migliora la risposta immunitaria nei confronti del tumore.

L’azione di Grifola frondosa sul sistema immunitario è invece guidata dall’attivazione e sensibilizzazione dei macrofagi, dei linfociti T e NK. Si tratta quindi di un’azione immunomodulante.

Con la sua attività antiossidante maitake è interessante anche nella nutrizione contro l’invecchiamento cellulare e contro le patologie croniche legate allo stress ossidativo. Non meno importanti i risultati riguardanti l’azione ipoglicemizzante e di riduzione dei lipidi circolanti che ne fanno un nutraceutico utile per combattere la sindrome metabolica.

S’è scoperto che l’azione ipoglicemizzante è strettamente legata all’azione di selezione del microbiota intestinale operato dai polisaccaridi fungini. I polisaccaridi fanno infatti da substrato per la crescita e la proliferazione delle specie attive che si trovano nell’intestino, limitando invece la proliferazione di batteri produttori di tossine e causa di infiammazione. I polisaccaridi di Grifola frondosa aumentano significativamente le proporzioni di AllobaculumBacteroides e Bifidobacterium e diminuiscono le proporzioni di AcetatifactorAlistipesFlavonifractorParaprevotellaOscillibacter.

Diversi studi sono stati poi condotti sulle azioni benefiche che maitake può avere come antibatterico e antivirale, per preservare l’integrità della pelle, come antinfiammatorio, per il benessere del fegato e dei reni, come antietà e nei deficit cognitivi e di memoria legati all’invecchiamento.

Tutti questi risultati accumulati fin dagli anni ’60, quando si iniziò a studiare maitake, dovranno servire per capire il meccanismo specifico dei polisaccaridi fungini e i metodi estrattivi che possano garantire un contenuto idoneo di polisaccaridi attivi. Ulteriori studi porteranno a una maggiore capacità di utilizzare maitake, il cui consumo non è accompagnato da effetti negativi, per migliorare e mantenere la condizione di benessere e agire anche nella prevenzione delle patologie infiammatorie più comuni.

La ricerca sulla polidatina nel carcinoma del colon-retto

Fra le forme tumorali più diffuse e che sembrano dipendere dall’alimentazione e dal microambiente fisiologico c’è il carcinoma del colon la cui incidenza aumenta con l’avanzare dell’età.

Sono sempre più disponibili informazioni su come le specie microbiche intestinali e la loro capacità di modulare l’infiammazione incidano sull’insorgenza, la progressione e la diffusione del tumore. In particolare, l’attenzione è rivolta verso il lipopolisaccaride batterico (LPS) che può indurre infiammazione locale e interferire con la risposta del sistema immunitario verso le cellule mutate.

La polidatina, molecola di cui sono ricchi alcuni cibi come i frutti rossi e le arachidi e che si trova abbondante nelle radici di Polygonum cuspidatum, è un modulatore dell’infiammazione e, come il resveratrolo – molecola di cui è precursore – mostra attività antitumorale e antinfiammatoria. Rispetto al più diffuso e noto resveratrolo, la polidatina, che è il fitochimico da cui il resveratrolo si forma, è più biodisponibile perché il suo assorbimento avviene attraverso un meccanismo che sfrutta la presenza di una molecola di zucchero della struttura chimica.

Un recente studio condotto dal CNR-IFT (Consiglio Nazionale delle Ricerche – Istituto di Farmacologia Traslazionale) ha voluto indagare come la molecola di origine vegetale può influire sulla crescita e diffusione del cancro al colon e come può modulare il microambiente tumorale in modo da sfavorire la neoplasia.

Lo studio è stato condotto in vitro e ha simulato le condizioni del microambiente infiammatorio tumorale prendendo in esame alcuni parametri come la capacità della polidatina di interferire con l’espressione di specie che permettono la diffusione del tumore, così come sulla produzione di molecole proinfiammatorie.

Nello studio, la polidatina ha confermato i suoi effetti antiproliferativi nei confronti delle cellule tumorali e la sua capacità di indurre le stesse verso la morte cellulare programmata (effetto proapoptotico).

In presenza di LPS, la polidatina è anche capace di ridurre la risposta infiammatoria stimolata dalla molecola batterica e l’azione della polidatina influenza la capacità delle cellule tumorali di esprimere il loro potenziale metastatico.

Le azioni svolte dalla polidatina si sono dimostrate tempo e concentrazione dipendenti, con una potente azione citotossica e antiproliferativa.

Poiché l’influenza dell’ambiente microbico sullo sviluppo del tumore colon rettale può svolgere un’azione centrale, proprio in funzione della produzione di grande quantità di lipopolisaccaride che può promuovere l’infiammazione, avvalersi di principi capaci di regolare l’infiammazione e l’espressione delle citochine ad azione immunosoppressiva può permettere di contrastare i processi che influiscono sullo sviluppo del carcinoma.

Attraverso lo studio appare quindi evidente come l’uso della polidatina potrebbe essere utile anche in fase preventiva contro lo sviluppo del carcinoma del colon-retto e affiancare anche i trattamenti già in uso e, sicuramente, i meccanismi della polidatina e i suoi benefeci dovranno essere oggetto di ricerche più approfondite.

Fonte:

De Gregorio, Alex, et al. “Influence of Polydatin on the Tumor Microenvironment In Vitro: Studies with a Colon Cancer Cell Model.” International Journal of Molecular Sciences 23.15 (2022): 8442.