Polifenoli: nutraceutici, cosmetici, alimenti funzionali

Nuove evidenze sui polifenoli

Polifenoli: nutraceutici, cosmetici, alimenti funzionali

Pochi fitochimici sono stati messi sotto la lente d’ingrandimento negli ultimi decenni come avviene per i polifenoli. Sarà per la ricchezza in natura dei diversi polifenoli, o per la variabilità delle loro azioni salutistiche dimostrate soprattutto negli studi in vitro, ma oggi i polifenoli vengono studiati non solo per le loro potenzialità come nutraceutici ma anche per il loro uso cosmetico e nella formulazione di alimenti funzionali e funzionalizzati. Senza trascurare una filiera sostenibile che fa parte di sistemi di economia circolare.

I polifenoli si sono distinti per le proprietà antiossidanti, antiradicali, antinfiammatorie. La conoscenza sempre più approfondita dei loro meccanismi d’azione ha anche evidenziato come la loro influenza sul benessere dell’organismo possa essere legata all’azione perseverante verso i mitocondri.

Polifenoli contro la senescenza dei mitocondri

Il funzionamento alterato dei mitocondri, le strutture cellulari deputate alla produzione energetica ma che causano anche la produzione di ossidanti come prodotti di scarto, è stato infatti associato negli ultimi anni a una serie di conseguenze patologiche, comprese le malattie neurodegenerative. Mitocondri non più funzionali sono associati all’invecchiamento e alle patologie croniche a esso legate. Anche l’obesità si può riportare a una errata gestione dei grassi che non vengono impiegati per produrre energia.

I polifenoli hanno dimostrato, attraverso le diverse vie enzimatiche che regolano nell’organismo, di poter influenzare positivamente l’attività mitocondriale. Inoltre, grazie all’azione di antiossidanti, i polifenoli concorrono ad allontanare i radicali liberi che si formano proprio dall’attività mitocondriale, combattendo lo stress ossidativo.

Molto interessante è quindi la possibilità di utilizzare i nutraceutici a base di polifenoli come mezzi preventivi delle patologie legate all’invecchiamento anche del cervello.

Una criticità dei polifenoli è la loro bassa biodisponibilità che sembrerebbe non poter giustificare alcuna azione benefica in vivo. In realtà sappiamo ancora poco dell’azione salutistica dei metaboliti dei polifenoli, che potrebbero essere proprio le molecole funzionali. Non va poi sottovalutato il ruolo che i polifenoli ricoprono nel benessere del microbioma intestinale.

Il benessere che passa dalla salute dell’intestino

Le evidenze scientifiche mostrano sempre di più l’importanza del microbiota intestinale nel mantenimento dello stato di salute. Gli studi indicano come le molecole prodotte dai batteri intestinali possano influenzare la risposta immunitaria e la risposta infiammatoria. La disbiosi intestinale con il prevalere delle specie batteriche “negative” si associa alla insulino-resistenza, al diabete di tipo 2, all’obesità, all’infiammazione intestinale e all’infiammazione cronica di basso grado, condizione che sembra essere cruciale nello sviluppo delle malattie cardiache o nelle patologie tumorali.

I polifenoli agiscono nell’intestino come prebiotici. Vengono metabolizzati dalla flora batterica intestinale in modo da permettere la sua sopravvivenza e il suo sviluppo. Il loro impatto positivo sulla crescita dei batter “buoni” permette ai polifenoli di ridurre i fenomeni infiammatori intestinali. Inoltre, permettono la produzione di specie chimiche altamente benefiche come gli acidi grassi a catena corta che si sono dimostrati utili anche contro la neuroinfiammazione, il Parkinson e la malattia di Alzheimer.

Il loro ruolo nell’intestino è legato anche all’azione immunitaria contro le infezioni e c’è un crescente interesse per la funzione terapeutica dei polifenoli nei disturbi neurocomportamentali, attraverso l’azione che hanno sul microbiota. È stato dimostrato che i polifenoli permetto no di ottenere effetti antistress in alcuni modelli in vitro e in vivo, modulando le risposte infiammatorie sistemiche e la plasticità sinaptica cerebrale.

Non solo nutraceutici

Le virtù dei polifenoli vengono però anche riconosciute in campo cosmetico dove ci si avvantaggia dell’azione schiarente sulla pelle, cicatrizzante, protettiva dai raggi solari e del potere antiossidante.

L’azione antiossidante ne fa anche degli alleati nell’industria alimentare che sfrutta i polifenoli per ridurre l’uso di conservanti e che permette di ottenere alimenti arricchiti dalle proprietà vantaggiose.

È sato così possibile formulare yogurt fortificato con polifenoli del tè verde che ne hanno migliorato la compattezza; allo stesso modo, la polvere ricca di polifenoli di vinaccia è stata utilizzata come sostituto della farina per fortificare il pane di grano, aumentando la tenacità dell’impasto e accrescendone le proprietà antiossidanti. Le vinacce d’uva sono state quindi suggerite come ingrediente per la fortificazione delle farine e per ottenere prodotti da forno funzionali per la salute umana.

Con la crescente attenzione per la questione ambientale, anche per il recupero dei polifenoli da frutti e vegetali si sta facendo ricorsi a fonti che permettono di avere un impatto produttivo ridotto. In particolare, molti polifenoli possono essere estratti da materiali di scarto della filiera alimentare come l’estrazione di succhi o la produzione di vino.

Come avviene per le vinacce e i raspi dell’uva che possono essere inviati ai cicli di estrazione dei polifenoli per poi continuare il loro percorso come biomasse per la produzione di concimi, alimenti per animali ed energia.

Riferimento:Rajha, Hiba N., et al. “Recent advances in research on polyphenols: effects on microbiota, metabolism, and health.” Molecular Nutrition & Food Research 66.1 (2022): 2100670.

I risultati promettenti dell’uso delle catechine del tè verde nei tumori

Come i polifenoli possano aumentare l’effetto dei chemioterapici e possano aiutare a contrastare diverse fasi della formazione dei tumori è ormai noto. Una recente review apparsa in giugno su Food Chemestry si è invece soffermata sull’efficacia delle catechine del tè verde, in particolare, sulla più abbondante, l’epigallocathechina-3-gallato(EGCG).

Le catechine del tè verde rappresentano il 12-25% delle componenti. Questa classe di polifenoli si mostra particolarmente attiva come antiossidante e ha dimostrato numerosi effetti terapeutici contro diversi stati patologici, tra cui cancro, infiammazione, diabete, malattie cardiovascolari.

Cosa dicono i dati

Analizzando tutti gli studi su EGCG e tumori condotti in questi anni, sia in vitro che in vivo, e gli studi clinici conclusi – più di 100 al momento della stesura dell’articolo – i risultati hanno confermato la potenzialità della catechina nell’ inibire la crescita dei tumori maligni di varia origine e attraverso meccanismi, ancora in studio, che permettono di ridurre la proliferazione delle cellule tumorali e la loro migrazione, diminuendo sia la comparsa di recidive che di metastasi. Particolarmente significati i risultati in associazione con la terapia tradizionale, di cui ECGC aumenta gli effetti consentendo di ridurre la dose dei farmaci per la chemioterapia.

Un primo effetto preventivo è dovuto all’azione di antiossidante e antiinfiammatorio dell’EGCG. I danni dovuti all’infiammazione, soprattutto quella di basso grado e continuata, e alla formazione di radicali liberi si manifestano infatti con lesioni alle cellule e al loro DNA, causando quindi mutazioni e attivando processi che possono portare allo sviluppo di tumori. L’EGCG è però in grado di neutralizzare i radicali liberi, legare gli ioni metallici che amplificano le reazioni ossidanti, svolge così un’azione di supporto all’organismo e ostacola così la formazione del cancro contrastando l’azione degli agenti cancerogeni.

Con la sua azione antiinfiammatoria è invece di aiuto alle normali funzioni di difesa del sistema immunitario, che può in questo modo contrastare più efficacemente la comparsa di cellule mutate.

Azione antiproliferativa e contro la diffusione del tumore

L’EGCG agisce contro i tumori anche intervenendo sulla sopravvivenza delle cellule cancerose e contrastando i sistemi di formazione delle masse tumorali.

L’EGCG ha infatti un’azione proapoptotica – cioè favorisce la morte- sulle cellule tumorali; controlla poi la crescita cellulare e promuove i sistemi che riparano il DNA danneggiato o che avviano la cellula mutata alla morte, quando il danno non è riparabile.

Perché poi da poche cellule tumorali si possano sviluppare delle masse più grandi è necessario che i tumori sviluppino molti vasi sanguigni da cui trarre nutrimento. Questo fenomeno, detto angiogenesi, è contrastato dalle catechine. In questo modo si riduce l’accrescimento del cancro ma anche la possibilità che questo possa infiltrare i tessuti danneggiandoli o che possa diffondersi in altre sedi (formazione di metastasi).

Azioni repressive dei tumori da parte di EGCG sono state viste nel cancro mammario triplo negativo, nel carcinoma epatico, nel cancro cervicale. Effetti dose-dipendenti si sono avuti con sperimentazioni sulle cellule del cancro ovarico, nel carcinoma orale, nel cancro al colon e nelle leucemie. Ha avuto altrettanti risultati positivi sui tumori della prostata, dei polmoni, del pancreas e nei melanomi.

La terapia integrata

Negli studi clinici, la ricerca ha evidenziato l’uso dell’EGCG nella terapia integrata. La molecola naturale agisce infatti in sinergia con i chemioterapici: aumenta l’azione farmacologica contro le cellule tumorali e previene la resistenza al farmaco – fenomeno per il quale le cellule tumorali sviluppano meccanismi per espellere il chemioterapico vanificando la terapia.

Sebbene studi clinici approfonditi siano necessari, l’integrazione con EGCG sembra avere il vantaggio di essere efficace, senza effetti collaterali alle dosi suggerite, e un elevato valore preventivo. Infatti, non solo se ne può sfruttare l’azione contro l’invecchiamento fisiologico, quella energizzante e contro la fatica mentale ma può intervenire contro i cancerogeni ambientali e contro la perossidazione lipidica che causa il deterioramento delle membrane e delle strutture cellulari da parte radicali liberi.

Un aiuto per il trattamento dei disturbi psichiatrici

L’approccio farmacologico ai disturbi psichiatrici è complesso e, sovente, insoddisfacente. Depressione, schizofrenia e disturbi dello spettro autistico (ASD) non rispondono sempre al trattamento, portando all’insuccesso terapeutico e gravati da pesanti effetti collaterali.

Le patologie psichiatriche risentono anche dell’incertezza riguardo le loro cause, ai meccanismi di sviluppo e processi che sono ancora grandemente incompresi, dell’impossibilità di intervenire in modo mirato sul loro esordio e prevenzione.

Un fattore comune però ai soggetti che soffrono di queste condizioni è una maggiore espressione di fattori dell’infiammazione e dello stress ossidativo. Esistono anche problemi di degenerazione di neuroni e di minore capacità di questi di stabilire contatti tra loro.

Queste osservazioni hanno suggerito la possibilità di intervenire attraverso l’integrazione alimentare di specie dall’alto potere antiossidante, antinfiammatorio e che promuovono i naturali processi metabolici.

La ricerca si è quindi indirizzata verso gli studi, prima sugli animali e poi clinici, dell’uso del sulforafano nei disturbi psichiatrici.

Il sulforafano, la molecole dalle molte virtù

Il sulforafano è una molecola dalle straordinarie potenzialità contro tumori, malattie del metabolismo, patologie cardiovascolari e dell’invecchiamento. Non si trova come tale in natura ma si forma dal suo precursore glucorafanina di cui sono ricche le piante della famiglia delle crucifere e in particolare i germogli di broccolo.

Il sulforafano aggiunto come integratore alla dieta raggiunge il picco ematico in 3 ore ed è distribuito anche a livello cerebrale, superando la Barriera Emato-Encefalica. Questa sua capacità lo può rendere utile come neuroprotettore, inibendo lo stress ossidativo, la neuroinfiammazione e la morte neuronale.

Lo studio post mortem di persone che erano afflitte da disturbi mentali ha infatti evidenziato carenza nell’espressione di proteine e fattori con azione antinfiammatoria e antiossidante. Quelle stesse proteine sono invece aumentate dal sulforafano che promuove l’espressione di fattori antinfiammatori e la sintesi di enzimi attivi contro i radicali liberi. Il sulforafano è quindi stato testato con risultati incoraggianti nell’ASD. I bambini e giovani adulti osservati durante la ricerca miglioravano infatti la loro interazione sociale, la verbalizzazione e i comportamenti non tipici rispetto al gruppo placebo. Questo ha portato molte famiglie a continuare l’integrazione con sulforafano anche dopo la fine degli studi e per mantenere degli effetti che venivano persi interrompendo l’integrazione. Il sulforafano agirebbe in questo caso anche interrompendo i processi di morte cellulare, proteggendo l’attività di strutture subcellulari come i mitocondri, operando una neuroprotezione.

Il sulforafano contro la neuroinfiammazione e i processi ossidativi

La sperimentazione clinica con sulforafano ha interessato anche pazienti che non rispondevano adeguatamente agli antidepressivi e che soffrivano di schizofrenia. Nel primo caso il sulforafano agisce aumentando l’espressione e la risposta di fattori neurotrofici; nel caso dei pazienti schizofrenici i risultati sono stati meno costanti, in linea con la complessità di una patologia che può presentarsi in varie forme per gravità e sintomi.

L’integrazione con sulforafano ha però permesso di migliorare le prestazioni cognitive. Inoltre, poiché c’è un riscontro fra l’insorgenza della patologia e la neuroinfiammazione, l’uso del sulforafano può essere d’aiuto nel ridurre il tasso di conversione della psicosi, considerando poi la sicurezza della molecola rispetto ai farmaci ora in uso.

 L’integrazione del sulforafano non si può però fare semplicemente mangiando più verdure della famiglia dei cavoli. Come già detto, il sulforafano si forma dal suo precursore e la formazione è impedita dopo aver cucinato i cibi ed è, inoltre, dipendente dalla salute della flora intestinale. Un’ottima soluzione è l’integrazione con nutraceutici come Actisulf che, grazie al processo di estrazione brevettato, contiene glucorafanina e l’enzima che serve per attivarla nello stesso rapporto in cui si trovano in natura. Le compresse masticabili fanno sì che il sulforafano si formi direttamente nel cavo orale e sia assorbito prontamente dalla mucosa buccale da dove è veicolato nel circolo, compreso quello cerebrale, senza subire processi di metabolismo o di degradazione nello stomaco.

Riferimenti:

Biological mechanisms and clinical efficacy of sulforaphane for mental disorders

Wensi Zheng, Xiaolong Li, Tianhong Zhang, Jijun Wang

Gen Psychiatr. 2022; 35(2): e100700.

Prevenire è meglio che curare: con i nutraceutici manteniamo un buono stato di salute

Il mercato dei nutraceutici ricopre un ruolo sempre più importante ed è in vivace attività.

L’accesso a informazioni sempre più complete, l’acquisizione di consapevolezza e il ricorso all’automedicazione guidano verso la scelta, per la cura di piccoli fastidi o per l’integrazione nelle patologie più importanti, di pratiche mediche alternative ai farmaci tradizionali.

Se i nutraceutici posso perciò fornire un aiuto negli stati patologici, non si deve trascurare che il loro uso come forma di prevenzione può assicurare invece un duraturo stato di salute e benessere anche nella terza età.

I maggiori danni all’omeostasi dell’organismo sono causati dai processi ossidativi ai quali siamo naturalmente sottoposti. L’attività enzimatica, la produzione di energia, le reazioni metaboliche avvengono infatti con la produzione di specie reattive dell’ossigeno (ROS) e dell’azoto (RNS): radicali liberi che possono avviare processi di perossidazione lipidica, danneggiare il DNA, danneggiare le cellule, indurre infiammazione.

Il nostro organismo ha sviluppato sistemi di difesa adeguati contro i radicali liberi, ma con il tempo l’efficacia di questi sitemi diminuisce e lo stress ossidativo può indurre stati patologici che si associano a danni neuronali – nelle patologie neurodegenerative sono coinvolti processi ossidativi non bilanciati -, fibrosi di organi come fegato e rene, lesioni alle strutture polmonari e alle arterie che causano patologie cardiache.

La gestione dello stress ossidativo si può quindi avvalere del supporto da parte dei nutraceutici.

Di cosa parliamo quando parliamo di nutraceutici

La parola nutraceutico nasce dall’unione dei termini nutrizione e farmaceutico. Si basa quindi sul principio che, attraverso l’alimentazione e l’integrazione mirata con sostanze naturali, si possa ottenere un effetto curativo o preventivo.

La potenza delle piante come farmaco è ben nota, e questo richiede che non si possa lasciare completa libertà nell’uso delle piante medicinali. Ogni farmaco può diventare un veleno, infatti, se preso nelle dosi sbagliate. Ecco perché esiste una stringente regolamentazione sui prodotti erboristici e sui nutraceutici per garantirne l’uso in completa sicurezza.

Nel novero dei nutraceutici entrano a far parte quindi composti bioattivi derivati dalle piante, fibre alimentari, alimenti funzionali ma anche i probiotici, sostanze che fanno da supporto alla flora microbatterica intestinale e che permettono di mantenerla attiva e in salute. Fra i nutraceutici, diversi hanno azione antiossidante sia direttamente, ad esempio grazie al contenuto di polifenoli e vitamine, sia indirettamente fornendo sali minerali ed elementi essenziali per le reazioni enzimatiche. In molti casi poi, il fitocomplesso – l’insieme delle sostanze bioattive che caratterizzano una pianta – racchiude elementi che lavorano in sinergia e si dimostrano utili nel migliorare lo stato di salute.

Antiossidanti contro l’invecchiamento

Una buona scorta aggiuntiva di antiossidanti si può fare con l’alimentazione bilanciata, arricchita da frutti ricchi di vitamine e polifenoli, da semi oleosi e frutta secca. Tuttavia, non possiamo mai conoscere il vero contenuto di sostanze benefiche in un alimento, mentre possiamo conoscerlo all’interno dei nutraceutici che hanno una composizione dichiarata in etichetta. L’uso, perciò, dei nutraceutici permette di provvedere adeguatamente alle esigenze dell’organismo soprattutto quando si verificano le condizioni di stress ossidativo come l’attività fisica intensa, l’infezione, l’attivazione del sistema immunitario e l’invecchiamento.

Inoltre, i nutraceutici concorrono a proteggere dai radicali liberi causati dagli inquinanti ambientali, da alcool, fumo e farmaci. Evitano il loro accumulo nelle cellule e nei tessuti, riequilibrano il sistema di generazione ed eliminazione delle specie reattive.

Con il loro meccanismo d’azione possono perciò prevenire l’insorgenza di disturbi cronici.

Non bisogna poi trascurare che il danno ossidativo al DNA ne causa l’alterazione e può provocare lo svilupparsi di cellule tumorali, come anche attivare gli oncogeni dormienti e indurre aberrazioni cromosomiche, promotori per lo sviluppo del cancro.

La misura preventiva più semplice per lo stress ossidativo, quindi, è includere i nutraceutici con potenziale antiossidante nella propria routine quotidiana, nella dieta e che come integratori. 

Nutrigenetica per una integrazione sempre più personalizzata

Nel campo medico e farmaceutico la tendenza degli studi è di produrre una medicina sempre più personalizzata, che tenga conto delle differenze genetiche, di genere, metaboliche dei pazienti per individuare i dosaggi e farmaci specifici per minimizzare gli effetti collaterali.

Le conoscenze di biologia molecolare e di metabolomica lasciano pensare che anche per la nutraceutica sia arrivato il momento della “nutragenetica” che porti all’integrazione alimentare personalizzata e studiata per la prevenzione delle malattie.

Serve quindi un cambio di paradigma: una terapia nutrizionale che sia preventiva, l’attenzione quando si è giovani e in salute per evitare l’insorgenza della malattia e per eliminare gli esordi patologici delle affezioni. I nutraceutici, con le loro proprietà antiossidanti, antietà, antitumorali, immunomodulanti sembrano essere la soluzione a portata di mano.

Riferimenti:

Anand, Shaubhik, and Navneeta Bharadvaja. “Potential Benefits of Nutraceuticals for Oxidative Stress Management.” Revista Brasileira de Farmacognosia (2022): 1-10

L’efficacia della polidatina nelle malattie del metabolismo

Come rilevato dall’OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità), gli squilibri del metabolismo sono, a livello mondiale, fra le cause crescenti di patologia che incidono sia socialmente che economicamente sul benessere della popolazione.

Associate alla sedentarietà, al cambio della dieta e a ritmi di vita mutati velocemente negli ultimi decenni, un fattore comune a patologie come il diabete di tipo 2, la degenerazione epatica grassa, ipertensione e le malattie cardiovascolari è lo stato infiammatorio.

La risposta all’infiammazione è infatti causa della formazione di placche nei vasi sanguigni, del dolore causato dalla gotta, della steatosi epatica (deposizione di grassi nel fegato che altera la sua struttura, fisiologia e funzionalità). L’infiammazione di basso grado è poi legata alla resistenza all’insulina e alla formazione di strutture capaci di causare i danni renali e vascolari nel paziente diabetico.

Accanto a interventi che mirano a migliorare la condizione fisiologica con la sana alimentazione e l’attività fisica, nelle malattie dismetaboliche si interviene con la prescrizione di farmaci mirati ma dai pesanti effetti collaterali.

Il ricorso alla fitoterapia e all’integrazione alimentare sarebbe invece da auspicare nelle fasi iniziali delle malattie infiammatorie, per evitare la loro progressione e ridurre l’uso dei farmaci.

La polidatina: il potente antinfiammatorio della Medicina Tradizionale Cinese

La Polidatina è una molecola naturale abbondante nelle radici di poligono del Giappone (Polygonum cuspidatum), pianta orientale ormai molto diffusa anche alle nostre latitudini e usata nella medicina tradizionale, ma anche nelle arachidi, frutti rossi, cacao e nell’uva.

Negli ultimi decenni si sono accumulate le evidenze sull’attività antinfiammatoria dell’analogo resveratrolo. Il suo uso è però limitato dalla bassa solubilità e biodisponibilità della molecola. Non altrettante criticità ha il suo precursore polidatina, che proprio per le caratteristiche favorevoli come integratore naturale è ora sottoposto a studi approfonditi sull’animale per verificarne le potenzialità contro le malattie dismetaboliche.

Una recentissima review apparsa su Phytomedicine, e condotta grazie al contributo del National Natural Science Foundation of China, ha raccolto i risultati più significativi sull’azione della polidatina contro le alterazioni metaboliche, evidenziando l’importanza della molecola come antinfiammatorio e contro i radicali liberi e le specie reattive dell’ossigeno (ROS).

I risultati della revisione sistematica

Nel raccogliere i dati disponibili, i ricercatori di Shenzhen hanno incluso solo i lavori con risultati solidi sugli animali giungendo a evidenziare come l’azione sulle vie che regolano i processi inibitori possano portare a risultati diffusi. L’azione della polidatina mira a regolare il rilascio di fattori fisiologici che sono responsabili di patologie diverse. Attraverso quindi un meccanismo comune, la polidatina può agire nel ridurre squilibri vari, compresi quelli a livello del microbiota intestinale e influendo sia direttamente che indirettamente sulle malattie metaboliche.

La riduzione dei ROS ha poi influito positivamente sulla vitalità cellulare, in modo dose-dipendente, riducendo l’espressione delle molecole proinfiammatorie.

La polidatina promuove infatti la secrezione dell’insulina e riduce la resistenza, agendo sul diabete di tipo 2. L’azione antidiabetica è supportata dalla riduzione dell’infiammazione cronica, dalla riduzione di accumulo adiposo. La somministrazione di polidatina per 28 giorni, nei modelli murini, ha migliorato il metabolismo dei lipidi, ridotto la perossidazione lipidica e l’infiammazione pancreatica.

Diminuendo la formazione di proteine glicate, la polidatina ha influito positivamente anche sulla funzionalità renale nel quadro diabetico.

L’effetto sul microcircolo preverrebbe quindi la cardiomiopatia diabetica e la fibrosi renale ma l’azione sui vasi si evidenzia anche nei modelli di ateroscrerosi. In questo caso, grazie alla diminuzione del richiamo di agenti mediatori dell’infiammazione e grazie alle proprietà antiossidanti, la polidatina riduce la formazione delle placche ricche di colesterolo nelle parteti dei grandi vasi. Dagli studi si evince anche una funzione nella regolazione dei lipidi circolanti che tendono a essere normalizzati. A livello dell’endotelio dei vasi (tessuto a diretto contatto con il flusso sanguigno) la riduzione dello stress ossidativo è accompagnata alla produzione di sistemi di difesa specifici come la superossidodismutasi (SOD).

L’importanza dell’induzione di questo enzima si rileva anche nelle proprietà epatoprotettive della polidatina, che è infatti efficace contro la degenerazione del tessuto del fegato non correlata al consumo di alcool.

La polidatina agisce quindi prevenendo gli insulti causa della fibrosi del fegato, riduce i fattori profibrotici, impedisce l’accumulo e degenerazione grassa dell’organo.

Anche nel dolore gottoso la polidatina svolge una azione multipla: da una parte riduce i fenomeni infiammatori, e quindi causa del dolore, dall’altra aiuta all’eliminazione renale dei sali di acido urico impedendone l’accumulo nelle articolazioni. Con la riduzione della deposizione dei sali e limitando i fenomeni infiammatori, la polidatina interviene prevenendo i disturbi alla motilità articolare.

Polidase: compresse masticabili per un’azione immediata

Per le sue proprietà come scavenger (spazzino), inibitore dei processi infiammatori, protettore contro la perossidazione lipidica, la polidatina fa parte della composizione del Polidase e di MicoDefense (in associazione con Resveratrolo e in composizione sinergica con vitamina C da fonte naturale e funghi della Medicina Tradizionale Cinese) con indicazioni mirate al controllo degli stati infiammatori, come antiossidante e a supporto del microcircolo.

Come gli stessi autori della review propongono, è sempre più urgente passare dagli studi preclinici agli studi clinici: questi permetteranno di individuare i dosaggi ideali per ogni affezione, confermare la non tossicità e sicurezza della polidatina che viene usata da millenni senza alcuna controindicazione. La polidatina può poi, attraverso l’analisi dei meccanismi della sua azione, aprire le porte a trattamenti sempre più mirati ed efficaci con riduzione degli effetti collaterali, sfruttando anche la sua solubilità che la rendono adatta a compresse orosolubili e con assorbimento immediato come Polidase.

Green-MED, la dieta mediterranea integrata con il tè verde che fa bene al microbiota

Fin dagli anni ’50 dello scorso secolo la dieta mediterranea è stata indicata come esempio di virtuoso per una vita sana. Il primo studio che ne mise in evidenza i pregi si deve al nutrizionista statunitense Ancel Keys che mostrò i benefici cardiovascolari di un regime alimentare basato sui cereali, semi oleosi, olio di oliva e poca carne.

Sulla sua composizione si è costruita la piramide alimentare che è cambiata negli anni e che ora alla sua base prevede anche il movimento fisico, necessario per uno stile di vita sempre più sedentario.

Un ulteriore passo avanti è stato fatto studiando la dieta Green-MED, un regime alimentare dove viene ulteriormente ridotto l’apporto di carni rosse e lavorate, sostituito il fabbisogno proteico con vegetali ad hoc e integrata con i polifenoli del tè verde.

Una ricerca israeliana per una nuova dieta mediterranea

Si deve a una ricerca israeliana l’osservazione che la dieta Green-MED è più efficace nel ridurre la circonferenza addominale, il peso e nel migliorare i marker per le patologie cardiovascolari ma è anche più adatta a creare degli ambienti intestinali che producono acidi grassi a catena corta – fondamentali nel rinforzare le difese immunitarie – e quindi meno infiammazioni e fattori che predispongono alla sindrome metabolica e all’obesità.

Lo studio ha preso in esame individui in sovrappeso che necessitavano di una dieta ipocalorica e sottoposti a tre regimi alimentari diversi: al primo gruppo era stato dato da seguire un modello alimentare sano, il secondo doveva seguire una dieta mediterranea e il terzo seguiva una dieta mediterranea con minore consumo di carne, integrazione con lenticchie d’acqua – Mankai, pianta acquatica ricca di aminoacidi essenziali e impiegata come sostituto della carne – e tè verde (3/4 tazze al giorno) per fornire una fonte di polifenoli. In aggiunta alla dieta, è stata anche prescritta una attività fisica di grado moderato.

L’integrazione con tè verde per sfruttare il potere antiossidante dei polifenoli

I polifenoli del tè verde sono infatti noti per le loro proprietà calorigene e per il loro contributo nella riduzione dei grassi. In particolare, l’epigallocatechina – 3 – gallato, costituente del TèPigal 300, contribuisce al sostegno dell’organismo negli stati di affaticamento e ha potenti effetti antiossidanti e antinfiammatori, ma è anche capace di regolare la composizione e il benessere del microbioma intestinale.

Infatti, l’arricchimento della Green-MED con polifenoli ha avuto la funzione anche di selezionare le specie batteriche più adatte a combattere la sindrome metabolica.

È ormai noto che le persone obese e che non riescono a perdere peso hanno una composizione della flora batterica intestinale caratterizzata da specie che producono acidi grassi che favoriscono i fenomeni di infiammazione di basso grado. Dall’altra parte, i polifenoli assunti con la dieta non riescono ad essere assorbiti efficacemente. Tuttavia, la quota non assorbita può modulare la flora intestinale e intervenire nella sua qualità, operando quindi indirettamente un effetto benefico. Proprio il microbiota può poi metabolizzare i polifenoli portando a composti bioattivi più facilmente assorbibili.

Gree-MED più salutare della dieta mediterranea

L’analisi dei risultati dopo sei mesi di regime alimentare controllato ha così evidenziato che la dieta mediterranea e la Green-MED hanno apportato i cambiamenti più sensibili e migliorato le condizioni dei partecipanti allo studio.

Green-MED ha favorito una maggiore perdita di peso, migliorato gli indicatori di infiammazione e di rischio cardiavascolare, compreso il valore della pressione sanguigna, e ha permesso di selezionare una flora batterica intestinale arricchita di Prevotella, riducendo Bifidobacterium. Proprio i cambiamenti nella composizione del microbioma sembrano essere correlati fortemente con i maggiori effetti benefici della Green-MED.

Un altro parametro considerato è stata la regolazione da parte del microbioma di amminoacidi a catena ramificata (BCAA). Individui obesi/insulino-resistenti hanno come segno distintivo livelli elevati di BCAA sierici. Nella dieta Green-MED erano favoriti i processi di degradazione dei BCAA in modo maggiore rispetto alla sola dieta mediterranea, mostrando una correlazione positiva della integrazione con polifenoli e proteine vegetali.

Infatti, secondo i ricercatori, i due elementi chiave della Green-MED sono stati proprio l’integrazione con una fonte proteica vegetale e con i polifenoli da tè verde.

Ritmi di vita nuovi richiedono un nuovo modo di alimentarsi

Con il cambiamento delle abitudini alimentari, l’uso più frequente di cibi processati e il sempre minore ricorso a varietà di vegetali ormai scomparse dal mercato, sembra essere sempre più importante provvedere con integratori a dare sostegno a una dieta che è molto diversa da quella che Keys aveva studiato negli anni ’50. Anche le abitudini di vita sono molto cambiate a favore di lavori sedentari, spostamenti con i mezzi e perciò un minor dispendio calorico che richiede di rivedere il modo in cui si provvede alle esigenze dell’organismo.

Il ricorso ai nutraceutici si configura quindi come modo migliore per ricorrere alla parte più efficace della pianta, poter ottenere i massimi benefici, ottenere un regime alimentare sano ed equilibrato.

FONTE:

Rinott, E., Meir, A.Y., Tsaban, G. et al. The effects of the Green-Mediterranean diet on cardiometabolic health are linked to gut microbiome modifications: a randomized controlled trial. Genome Med 14, 29 (2022)

I polifenoli per vincere la resistenza ai farmaci chemioterapici

Nella terapia oncologica, la resistenza che si sviluppa ai farmaci è un problema che rischia di vanificare gli sforzi contro il tumore, causa una maggiore eliminazione dei chemioterapici, una loro minore presenza nei tessuti e quindi una minore azione anticancro.

Diversi sono i meccanismi responsabili e, poiché i tumori sono formati da popolazioni cellulari in vari stadi della loro vita e diversificati anche nelle caratteristiche metaboliche, è difficile vincere la farmacoresistenza.

Una review pubblicata su Cellular & Molecular Biology Letters ha raccolto le evidenze sulla capacità dei polifenoli di diminuire la farmacoresistenza e quindi di favorire la terapia anticancro.

I polifenoli sono molecole molto diffuse nel mondo vegetale e si trovano in molti frutti. Da tempo sono studiate per sfruttarne le proprietà antiossidanti, antinfiammatorie e di eliminazione dei radicali liberi. Fra questi, i polifenoli curcumina, resveratrolo ed epigallocatechina gallato (EGCG) sono stati analizzati per capire il loro contributo nella terapia oncologica integrata.

La resistenza ai farmaci

La resistenza ai farmaci può essere acquisita o preesistente. Nelle forme acquisite, farmaci che erano molto efficaci all’inizio della terapia perdono la loro attività.

I polifenoli sembrano essere capaci di invertire quest’ultima forma di resistenza agendo su diverse vie per mantenere l’attività dei chemioterapici.

Le cellule tumorali, infatti, possono diventare resistenti perché aumentano i processi con cui eliminano i farmaci. Questo avviene grazie a delle proteine sulla membrana cellulare il cui compito è proprio quello di rimuovere le sostanze estranee. Nelle cellule tumorali queste proteine possono essere espresse maggiormente causando quindi il fallimento terapeutico. I polifenoli intervengono inibendo il meccanismo di fuoriuscita dei farmaci e consentendo nei tessuti tumorali il loro accumulo. La curcumina sembra agire su questo meccanismo per vincere la multiresistenza nel cancro al pancreas.

In alcuni casi sono i meccanismi che consentono di accumulare farmaci nelle cellule tumorali a non funzionare più. EGCG ha invece mostrato di poter agire sui trasportatori che permettono agli antitumorali a base di platino, ad esempio in cisplatino, di entrare nella cellula, mantenendoli efficienti. Questo sembra essere il meccanismo d’aiuto nel carcinoma polmonare non a piccole cellule.

I polifenoli agiscono però anche inibendo gli enzimi detossificanti.

In particolare, nel fegato esistono dei meccanismi che permettono l’allontanamento dell’organismo delle sostanze estranee rendendole più solubili e facilmente eliminabili. In presenza di tumori questi meccanismi diventano molto attivi ma ciò causa un metabolismo maggiore dei farmaci che vengono allontanati dal corpo più velocemente e non consente loro l’azione terapica. I polifenoli inibiscono i processi enzimatici e permettono ai farmaci di non essere eliminati prima che possano essere assorbiti in concentrazioni ideali per la loro azione. È con questo meccanismo che la curcumina aumenta anche significativamente la bioattività del tamoxifene, noto farmaco usato nel trattamento del tumore al seno.

Azione sui cicli cellulari

I polifenoli incidono anche diversamente sui cicli cellulari e sui meccanismi di sopravvivenza delle cellule tumorali. Influenzando la capacità delle cellule di iniziare la morte programmata (apoptosi), permettono di limitare l’espansione del tumore. Ne è un esempio il resveratrolo che ha effetti benefici in molti tipi di cancro, fra cui quello alla vescica, prostata, mammella, polmoni, colon, ovaio e cerebrali.

Agendo poi sui meccanismi di differenziazione cellulare, importanti per dare alle cellule tumorali la capacità di migrare e di causare la formazione di tumori lontani dal sito iniziale, i polifenoli hanno un’azione antimetastasi. Agiscono in questo modo sia la curcumina che il resveratrolo.

Molto importante è anche l’azione di scavenger (spazzini) dei radicali liberi propria dei polifenoli.

Le cellule tumorali aumentano la loro chemioresistenza alterando i meccanismi di ossido riduzione e aumentando le specie reattive dell’ossigeno (ROS). I polifenoli, con la loro attività di riduzione della formazione di ROS, sono potenzialmente utili per il trattamento di pazienti con cancro multiresistente.

L’impegno nella terapia oncologica integrata

Sherman Tree Nutraceuticals è da sempre attenta alla terapia oncologica integrata e sviluppa i suoi nutraceutici con professionisti del settore.

Questo ha portato a pensare a formulazioni adatte alle esigenze dei pazienti oncologici, con particolare attenzione all’interazione farmaco-nutraceutico e studiati per ottenere azioni di chemoprotettori.

Da questo impegno nascono Polidase e TèPigal 300 che sfruttano l’attività dei polifenoli per offrire ai pazienti dei prodotti sicuri da accompagnare alle terapie convenzionali, come supporto e per minimizzare gli effetti collaterali di radio e chemioterapia.   

L’importanza del beta-glucani contro l’infiammazione polmonare

I beta glucani sono molecole vegetali ampiamente studiate e utilizzate in nutraceutica. Si tratta di zuccheri complessi prodotti dalle piante che li usano per sintetizzare strutture come le pareti cellulari. Le diverse fonti di beta glucani mostrano però una azione salutare diversificata. Questo perché i vegetali possono esserne più o meno ricchi.

Gli studi hanno dimostrato il rilevante contenuto di beta-glucani soprattutto nei funghi con specie come shiitake (Lentinula edodes) che arriva al 70%, concludendo che i beta glucani derivati dai funghi sono i più potenti modulatori immunitari.

In nutraceutica, i beta glucani sono utilizzati per le loro proprietà ipoglicemizzanti e per diminuire i livelli di colesterolo, per intervenire nella sindrome dismetabolica, nella riduzione dell’obesità e l’infiammazione di basso grado. Importante è anche la loro azione sulla salute del microbiota e nel ridurre l’infiammazione intestinale.

L’azione immunomodulante dei beta glucani

Nei più di 200 studi clinici dedicati, sono emerse le proprietà immunomodulanti che promuovono la resistenza alle infezioni e alleviano i sintomi dovuti a una risposta infiammatoria non controllata.

La risposta infiammatoria eccessiva, la tempesta di citochine – molecole rilasciate dall’organismo per rispondere ai pericoli esterni -, il danno infiammatorio si sono evidenziate come la conseguenza dell’infezione da SARS-Cov-2, con particolare attenzione per danno a livello polmonare.

L’estese lesioni causate dalla infiammazione ai polmoni hanno determinato la severità e la mortalità della malattia, tuttavia, anche in pazienti che avevano avuto una forma di infezione lieve o asintomatica è stato possibile ritrovare un danno ai polmoni.

La sindrome da distress respiratorio acuto mostra molte caratteristiche comuni con il danno da COVID-19, ha come segno tipico l’infiammazione alveolare ed è una delle forme di insufficienza respiratoria più grave che può portare alla morte nel 40% dei casi. È importante quindi capire come i regolatori dell’immunità e della risposta infiammatoria possano intervenire per ridurre la gravità della malattia. Attualmente il trattamento non prevede l’uso di farmaci appositi ma solo la gestione del paziente perché non manchi l’indispensabile apporto di ossigeno. Riuscendo a ridurre l’espressione delle citochine e l’infiammazione del tessuto polmonare, il processo infiammatorio può essere evitato e il trasferimento di gas nel sangue potenzialmente inalterato o minimamente influenzato.

Lo studio

Uno studio pubblicato da Science of The Total Environment, che ha coinvolto istituti di ricerca delle Università irlandesi di Athlone,  Limerick, Galaway ma anche il Dipartimento di Medicina e Chirurgia dell’Università degli Studi di Milano-Bicocca, ha indagato la capacità dei beta glucani da fungo di agire per regolare l’infiammazione e la loro utilità proprio sulle cellule polmonari danneggiate.

Il meccanismo d’azione dei beta glucani non è stato ancora compreso. Esistono sulle cellule del sistema immunitario dei recettori capaci di legarli e i beta glucani possono così influenzare l’azione dei macrofagi, ma il processo è ancora oggetto di studio.

Per poter verificare l’azione dei beta glucani, la recente ricerca si è concentrato su diversi punti d’indagine.

In primo luogo, era necessario verificare la capacità dei beta glucani fungini di regolare la risposta immunitaria e infiammatoria, quindi di capire l’azione su popolazioni cellulari specifiche come i macrofagi, infine di vedere l’effetto dei beta glucani su cellule polmonari danneggiate.

I risultati

I risultati ottenuti hanno confermato il potenziale terapeutico dei beta glucani nelle condizioni infiammatorie polmonari, poiché infatti essi sono capaci di ridurre le citochine pro-infiammatorie, aumentare le citochine antinfiammatorie, ridurre la formazione di danni ossidativi.

Dopo la lesione del tessuto polmonare è il microambiente che si forma, cioè il tipo di cellule del sistema immunitario che intervengono, a determinare se si andrà verso la riparazione del tessuto e l’azione antinfiammatoria o verso una risposta infiammatoria.

I beta glucani hanno dimostrato di poter influenzare la risposta del microambiente polmonare riducendo la secrezione di citochine proinfiammatorie. Un ulteriore evidenza è che i beta glucani sono utili anche per creare una memoria immunitaria per la prevenzione di un’infezione secondaria. Infatti, reclutano le cellule dell’immunità innata che dirigono lo sviluppo di una memoria immunitaria.

In studi precedenti era stata già evidenziata direttamente sui pazienti l’azione preventiva dei danni polmonari da parte dei beta glucani nelle polmoniti da infezioni o contratte in ospedale. Questi risultati confermano un’azione di supporto per evitare danni acuti e troppo estesi ai polmoni.

MicoDefense Immunity Plus: il supporto immunitario sinergico

Anche Sherman Tree Nutraceuticals s’avvale della capacità immunomodulante dei beta glucani da funghi per il supporto al sistema immunitario e ha studiato appositamente la formulazione di MicoDefense Immunity Plus che s’avvantaggia della sinergia tra funghi, vitamina C da fonte naturale, resveratrolo e polidatina contro l’infiammazione. Come dimostrato dagli studi, l’integrazione con le sue compresse masticabili può consentire di affrontare stress fisiologici di varia natura grazie all’alta componente in beta glucani.

Il cambiamento climatico è un problema anche per le piante medicinali

Mentre i disastrosi impatti del cambiamento climatico sulla produzione di cibo e sul suo approvvigionamento sono studiati ed evocati per dirigere le politiche internazionali verso un contenimento delle emissioni di anidride carbonica, si trascura l’impatto che si avrà anche sulle piante a uso medicinale.

L’argomento è però altrettanto importante se si considera che molte specie vegetali sono ancora oggi la fonte di molecole usate nella pratica medica, ad esempio alcuni chemioterapici, e che nelle popolazioni che non hanno accesso ai farmaci di sintesi il ricorso alla medicina tradizionale è l’unica possibilità di cura.

A queste vanno aggiunte le specie usate nella pratica erboristica che permettono di ottenere benefici per disturbi di lieve entità.

Eppure, le evidenze sull’azione del cambiamento climatico sulle specie vegetali sono discusse e, per quanto riguarda le piante medicinali, l’impatto si può teorizzare a diversi livelli.

In primo luogo, il cambiamento climatico sta avvenendo con una velocità che non è compensata dall’adattamento delle specie. Questo comporta che l’aumento delle temperature della Terra causerà la perdita di specie e di biodiversità e quindi di risorse.

Questa perdita ha ovviamente un impatto economico sulle società agricole impegnate nella coltivazione e vendita di materie prime vegetali. La conseguenza sarà il progressivo impoverimento e abbandono delle coltivazioni con una sempre maggiore scarsità di prodotto disponibile per le industrie, ma anche con la perdita della cultura e delle conoscenze delle popolazioni da sempre dedite alla coltivazione di specie usate da loro stesse come farmaci.

La presenza di eventi meteorici inaspettati, la variazione della piovosità delle stagioni, la siccità protratta e le gelate improvvise e impreviste sono poi fattori che mettono a rischio le coltivazioni. Gli agricoltori lamentano l’anticipazione dei periodi di fioritura o di fruttificazione che non sono più prevedibili; inoltre, queste mutate condizioni alterano la sincronia indispensabile fra vita delle piante e insetti, causando scarsità di impollinatori e interferendo con i meccanismi naturali che permettono di preservare i raccolti. È sempre più presente, infatti, il problema delle piante infestanti che sembrano adattarsi meglio ai cambiamenti climatici ma anche la persistenza di insetti che non hanno antagonisti e che possono danneggiare le coltivazioni.

Le variate condizioni di umidità inducono poi lo sviluppo di specie fungine o le infestazioni delle coltivazioni che possono sviluppare anche sostanze tossiche che rendono inservibili i raccolti. Questo determina il ricorso a un maggior numero di disinfestanti e fitofarmaci nella coltivazione

Si aggiunge poi la desertificazione e il cambiamento della condizione di soleggiamento e temperatura. Alcune piante alpine non riescono ad adattarsi al cambiamento e altre sono costrette a spostarsi ad altitudini maggiori per trovare le condizioni ideali ma che possono far variare anche notevolmente il tenore di principi attivi della pianta e la composizione del fitocomplesso.

I fitochimici che vengono sfruttati nella pratica medica sono infatti i metaboliti secondari della pianta.

Questi sono una forma di difesa vegetale verso gli stress ambientali ma, alterate condizione di stress possono causare la variazione della composizione di questi metaboliti.

In alcuni casi, in presenza di condizioni siccitose, i metaboliti si possono accumulare anche a livelli tossici che non consente l’uso della pianta, in altri, le stagioni troppo piovose a ridosso della raccolta possano causare diminuzione dei principi attivi contenuti nei rizomi o nelle radici.

Studiando come l’aumento di CO2 atmosferico influisce sulla crescita, apparentemente si ha un aumento dello sviluppo delle foglie e una maggiore resistenza della pianta. Tuttavia, una prolungata esposizione a concentrazioni elevate di anidride carbonica può invece esaurire l’efficienza dell’apparato fotosintetico – efficienza, in vero, già scarsa – danneggiando le capacità di crescita delle piante e causando il fenomeno conosciuto come acclimatazione fotosintetica.

L’aumento della temperatura influisce invece sull’efficacia degli enzimi, alcuni dei quali sono inattivati dal troppo calore. È necessario inoltre valutare tutti i parametri individuati insieme poiché ciò che individualmente potrebbe dirsi vantaggioso, nell’economia dell’intera pianta può determinare un complessivo svantaggio.

Di conseguenza, sebbene gli effetti del calore sulla fotosintesi, sulla respirazione e sulla fotorespirazione possano essere esaminate individualmente, è probabile che le molteplici ripercussioni dell’aumento delle temperature su altre attività metaboliche cellulari abbiano un feedback sul metabolismo del carbonio in molti modi inaccettabili.

Fra questi, come detto, l’alterazione della quantità e della qualità dei fitocostituenti portando a prodotti di bassa qualità. Un esempio già oggetto di studio è il cambiamento nella composizione di oli volatili da parte delle piante aromatiche e del contenuto di catechine nella pianta del tè.

È evidente che è necessario intensificare gli studi per offrire pratiche agricole e selezionare specie che siano più resistenti ai cambiamenti ma che possano preservare la qualità dei prodotti. Da essi dipende infatti non solo l’economia di sussistenza di circa un miliardo di persone, ma anche la possibilità di cura.

Riferimento:Patni, Babita, and Malini Bhattacharyya. “Alarming influence of climate change and compromising quality of medicinal plants.” Plant Physiology Reports (2021): 1-10.

Legame fra integrazione con sulforafano e riduzione dell’obesità

L’obesità, patologia sempre più diffusa e che porta a un aumentato rischio di sviluppare diabete di tipo2, cardiopatie ed eventi ischemici, è caratterizzata dall’infiammazione di basso grado, dalla resistenza all’insulina e dalla resistenza alla leptina.

In particolare, le resistenze all’insulina e alla leptina determinano un’alterazione dei segnali di sazietà e di accumulo di massa grassa che causano un aumento del peso con evidenti difficoltà nel riuscire a ristabilire la normale omeostasi corporea e l’equilibrio fra calorie assunte e dispendio energetico.

La capacità del sulforafano, molecola vegetale che si forma a partire dalla glucorafanina di broccoli e cavoli, di modulare le vie infiammatorie e di facilitare la rimozione delle specie reattive dell’ossigeno (ROS) ha portato i gruppi di studi della University of Michigan e della Vanderbilt University a verificare un legame fra l’assunzione di sulforafano come integratore alimentare e il trattamento dell’obesità.

In un approfondito studio condotto sui topi, sono state verificate le ipotesi di partenza e ricercati i meccanismi che consentono al sulforafano di rivertire i meccanismi obesogeni e ridurre la resistenza alla leptina.

La leptina è un ormone prodotto dalle cellule adipose che funge da segnale al cervello per ridurre l’appetito. Nelle persone obese si è evidenziato uno stato di resistenza: la leptina prodotta non è più in grado di portare le sue informazioni a livello del sistema nervoso centrale e quindi di regolare il senso di fame e sazietà.

In associazione a ciò, anche la resistenza all’insulina non permette il fisiologico utilizzo degli zuccheri che quindi aumentano nel sangue portando alle conseguenze dovute alla glicazione delle proteine e all’attivazione di vie infiammatorie.

Il sulforafano si è già dimostrato in grado di poter essere utile nel diabete di tipo 2 grazie ai suoi meccanismi antinfiammatori, tanto che le sue proprietà antidiabetiche sono paragonabili al farmaco antidiabetico più ampiamente prescritto metformina.

 Tuttavia, i ricercatori statunitensi hanno dimostrato che l’effetto del sulforafano è pleiotropico e non legato solamente alla sua capacità di risolvere l’infiammazione attraverso il fattore di trascrizione nucleare 2-like 2 (NRF2) derivato dall’eritroide, il principale regolatore dell’omeostasi redox.

Attraverso lo studio sui topi in cui era stata indotta obesità alimentare, è stato possibile annotare come il sulforafano sopprima la sintesi degli acidi grassi, riduca l’accumulo di ROS, riduca la resistenza alla leptina.

Una volta ristabilito infatti un regime alimentare idoneo, i topi che avevano anche un’integrazione con sulforafano, rispetto al controllo, avevano una maggiore perdita di massa grassa, nessuna perdita di massa magra e mantenevano la loro normale attività fisica.

Si è evidenziata anche una variazione nel quoziente respiratorio, parametro che indica un maggior uso dei grassi come fonte di energia rispetto ai carboidrati.

Il risultato non solo evidenzia che c’è un’effettiva azione sulla mobilitazione dei depositi di grasso, ma anche che la molecola non mostra alcuna tossicità.

Quello che i ricercatori sono stati in grado anche di annotare è stata la maggiore attività svolta dal sulforafano sulla massa muscolare, con una migliore capacità di risposta della muscolatura al consumo di energia per ristabilire il bilancio corporeo.

Un’altra importante risultato è aver scoperto che il sulforafano esercita la propria azione contro l’obesità proprio in presenza di leptina. I test condotti infatti sui topi incapaci di produrre l’ormone non hanno dato risultati positivi, dimostrando quindi che il meccanismo che il sulforafano utilizza per ridurre i depositi di grasso è legato alla capacità di normalizzare dei processi fisiologici che erano stati alterati. Gli effetti, nelle otto settimane di osservazione, si sono dimostrati dose-dipendenti.

Nei topi obesi trattati solo con la leptina, la riduzione del tessuto adiposo è stato inferiore rispetto ai topi trattati con sulforafano. Questo risultato conferma che il sulforafano risolve i meccanismi della resistenza alla leptina.

Ovviamente, nei topi in cui si riduce l’obesità grazie all’azione del sulforafano sono ridotti anche i livelli di acidi grassi liberi e di glucosio, con un benefico effetto sull’infiammazione sistemica di basso grado, poiché infatti sono ridotte le ROS e la formazione di molecole proinfiammatorie.

Nei topi magri usati come controllo, il sulforafano usato come integratore non riduce l’apporto di cibo, e quindi non induce una risposta anoressica, dimostrando ulteriormente il legame fra l’effetto antiobesità e la leptina.

L’integrazione con sulforafano ha poi soppresso l’espressione dei geni di sintesi degli acidi grassi nel fegato e nei tessuti adiposi bianchi, coerentemente con l’osservazione che i topi trattati con sulforafano perdono una massa grassa significativa, e ha causato una sorprendente sovraregolazione delle vie più anaboliche nei tessuti ad alta richiesta di energia.

Le evidenze accumulate con lo studio incoraggiano all’uso dell’integrazione per prevenire l’obesità e l’iperglicemia; resta da comprendere come il sulforafano possa svolgere questa sua azione insieme alla leptina e se l’attività si eserciti solo a livello periferico o anche centrale.